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La donna segreta: Harmony Destiny
La donna segreta: Harmony Destiny
La donna segreta: Harmony Destiny
E-book173 pagine2 ore

La donna segreta: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Baroni dell'oro nero 8/8
Una potente famiglia di petrolieri: scandali, segreti inconfessabili ed eredità da spartire nella selvaggia Alaska

Quando il milionario Ward Benally trova nei suoi uffici l'affascinante Brea Steel, tutto può immaginare tranne che la donna sia la figlia scomparsa del fondatore della compagnia. Brea vuole conoscere le ragioni del tragico destino che è toccato a sua madre e a lei stessa: Ward è disponibile ad aiutarla, ma vuole qualcosa in cambio...
Complice una tormenta di neve, tra i due scoppia un'irrefrenabile passione, ma nuove rivelazioni sul passato di Brea rischiano di compromettere sul nascere la loro bollente relazione.
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2019
ISBN9788830506664
La donna segreta: Harmony Destiny
Autore

Catherine Mann

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La donna segreta - Catherine Mann

    successivo.

    1

    Breanna Steele non aveva molto tempo per perlustrare l'ufficio del CEO nella sede dell'Alaska Oil Barons, Inc. Se l'avessero sorpresa, le conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche.

    Tuttavia non aveva alternative: aveva bisogno di risposte e non aveva nessuno di cui potersi fidare. E se si fosse affidata alla persona sbagliata?

    C'erano mali ben peggiori della prigione.

    Aveva già dato un'occhiata approfondita ai documenti cartacei, per cui non le restava che sedersi sull'elegante poltrona di pelle dietro l'imponente scrivania. Cercò di non pensare al tempo che aveva trascorso in quell'ufficio da bambina, quando era stato di suo padre. Il sabato mattina, soprattutto, dopo la colazione al Kit's Kodiak Café, giocava a nascondino con la sorella gemella sotto quella stessa scrivania, oppure guardavano i cartoni animati sul grande schermo appeso sulla parete opposta della stanza, condividendo una coperta sul comodo divano.

    Ormai quello spazio apparteneva a un altro uomo, un outsider, non di famiglia. La scrivania e le due pareti finestrate, che regalavano una spettacolare vista sulla baia ghiacciata e sulla catena montuosa in lontananza, erano esattamente come le ricordava. Nel resto dell'ufficio però c'erano mobili nuovi – più eleganti, pezzi minimalisti di legno e pelle. L'ufficio del padre era stato pieno di fotografie; Ward Benally aveva solo un'immagine incorniciata sulla scrivania: lui insieme a una bambina, su una slitta.

    Brea sapeva che non era sposato, però era evidente che quella bambina fosse importante per lui. E questo lo rendeva più gradevole, più umano, non solo un arrogante condottiero di una compagnia che ormai apparteneva tanto agli Steele quanto alla famiglia storicamente rivale.

    L'impero petrolifero del padre si era fuso con quello dei Mikkelson, dopo il suo recente matrimonio.

    Certo, Brea non aveva vissuto nulla di tutto ciò, perché era stata impegnata a farsi credere morta... E a quel ricordo la coscienza si fece sentire, solo che l'istinto di sopravvivenza, più forte, le impose di continuare a cercare quelle dannate informazioni.

    Estrasse una chiavetta USB dalla borsa e la inserì nel computer. Aveva vissuto isolata per anni ma, anche se alcuni credevano che questo significasse nessun computer, nessun mezzo di comunicazione con il resto del mondo, in realtà aveva imparato a usare la rete senza lasciare traccia, sviluppando una conoscenza di base che aveva appreso dal padre.

    Saper hackerare un computer e tradurre un codice erano capacità che aveva assimilato ben prima dell'incidente aereo che l'aveva strappata alla famiglia. Una volta presa una decisione, Brea riusciva a fare qualunque cosa. Era testarda, di una perseveranza senza pari. Proprio come Jack Steele, suo padre.

    Provò una morsa al petto.

    Sbatté le palpebre per ricacciare indietro le lacrime e cominciò a digitare sulla tastiera, senza preoccuparsi di lasciare impronte digitali avendo indossato dei sottili guanti di lattice. Paranoica? Forse. O forse no. La verità era che non si è mai troppo attenti.

    Una persona legata alla compagnia aveva avuto un qualche ruolo nell'incidente che aveva ucciso sua madre, l'incidente che le aveva cambiato per sempre la vita, anche se quel ruolo non era ancora chiaro.

    Doveva trovare quelle risposte per riuscire a lasciarsi il passato alle spalle, per potersi sentire al sicuro in quell'ambiente. Voleva credere che i parenti non avessero niente a che fare con quel terribile tradimento; eppure tutto ciò che aveva scoperto lasciava intendere che un Mikkelson, in qualche modo, fosse stato determinante in quel disastro.

    E suo padre aveva sposato la matriarca Mikkelson, fondendo le due compagnie rivali nell'Alaska Oil Barons, Inc. Surreale, dopo tutti quegli anni di accesa rivalità e aperta animosità.

    Quasi troppo surreale, come se fosse una messinscena.

    Poteva solo sperare di trovare un indizio, lì nell'ufficio dirigenziale. Altrimenti... be', sicuramente non si sarebbe arresa. Aveva bisogno di voltare pagina, però aveva anche bisogno di essere al sicuro.

    Voleva riunirsi alla sua famiglia, ma non era sicura di dove stesse la lealtà. Il rischio di scoprire le proprie carte era troppo alto.

    Doveva essere prudente. E avere pazienza.

    Diede un'occhiata all'orologio per controllare l'ora. Era riuscita a strappare all'assistente di Benally l'informazione che sarebbe stato impegnato in una riunione per la maggior parte del pomeriggio, tuttavia non voleva rischiare troppo.

    La sua attenzione fu attirata dal nome di un file, che corrispondeva alla data esatta dell'incidente. Represse un brivido al ricordo dell'aereo che precipitava, il terrore, la stretta ferrea della madre sulla sua mano...

    Rimase senz'aria nei polmoni, proprio com'era successo allora. La paura le fece defluire il sangue dalle vene. Riusciva ancora a sentire il lamento dei motori che si spegnevano, il sibilo dell'aria mentre l'aereo si avvicinava troppo rapidamente a terra...

    Brea riviveva quel momento più spesso di quanto fosse pronta ad ammettere. Quel giorno aveva segnato una linea definitiva nella sua vita: c'era un prima, e c'era un dopo.

    Eppure, in quel momento, era una distrazione che non poteva permettersi.

    Copiò il file sulla chiavetta, resistendo a stento alla tentazione di aprirlo immediatamente per vedere cosa contenesse. Aveva il cuore in gola, il battito che le rimbombava nelle orecchie.

    «Che cosa ci fai nel mio ufficio?»

    Brea sollevò di scatto lo sguardo, e la voce tonante le fece fermare il cuore di colpo.

    Non solo era stata colta in flagrante, ma a sorprenderla era stato proprio lui, Ward Benally, il nuovo CEO dell'Alaska Oil Barons, Inc. Uno schianto dai capelli scuri che vestiva Armani e stivali da cowboy...

    E aveva uno sguardo torvo che metteva paura.

    Ward Benally si era aspettato che i primi mesi da CEO dell'Alaska Oil Barons, Inc. fossero una sfida; ne era ben felice, per lui il lavoro era tutto.

    Era tutta la sua vita.

    Era tutto ciò che gli era rimasto.

    Aveva appena concluso una cruenta riunione sulle modifiche agli oleodotti che aveva rischiato di degenerare in vera e propria rissa. Era tornato in ufficio per recuperare dei documenti che sperava potessero soddisfare entrambe le parti, e anche per avere qualche attimo di calma e riuscire a placare la frustrazione.

    Invece aveva trovato l'ufficio invaso dall'ultima persona che si sarebbe fidato a lasciare sola con delle informazioni sensibili a portata di mano.

    Brea Steele, la figlia perduta e ritrovata di Jack Steele. La stessa figlia che non molto tempo prima si era fatta assumere dalla compagnia sotto mentite spoglie per ottenere l'accesso a chissà quale genere di informazioni confidenziali. Non ci si poteva fidare di lei, e questo avrebbe dovuto essere ovvio a tutti. Peccato che Jack fosse così felice di riavere indietro la figlia creduta morta che tutti dovevano accettarla, anche se, fino a prova contraria, avrebbe dovuto essere quanto meno indagata.

    Ward la fissò con sospetto. Brea aveva le mani non in vista, gli occhi circospetti, ed era seduta alla sua scrivania.

    «Allora?» ripeté. «Che cosa ci fai nel mio ufficio?»

    Lentamente, lei si alzò dalla poltrona, le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans neri. Jeans che le fasciavano le gambe come una seconda pelle. «Ti stavo aspettando.»

    La sua voce era distaccata e composta. La coda di cavallo dondolò da una parte all'altra quando girò intorno alla scrivania, attirando il suo sguardo come un pendolino ipnotico.

    Era uno specchietto per le allodole.

    E il suo corpo reagiva ogni volta, a prescindere dall'enfasi con cui il cervello gli ricordava che una così poteva portare solo guai. «A me sembra piuttosto che stessi curiosando in giro.»

    «Ho una curiosità innata» replicò Brea scrollando le spalle. «Che cosa posso farci?»

    «Curiosità?» Avanzò verso di lei, avvicinandosi nonostante il rischio di cogliere il suo profumo di... menta. «Cosa ne dici di effrazione?»

    «La tua assistente mi ha lasciato entrare» lo informò senza perdere un colpo.

    Questo gli diede da pensare. Si appuntò di verificare con l'assistente in questione. Anche se fosse stato vero, comunque avrebbe dovuto sedersi sul divano o su una delle poltroncine davanti alla scrivania. «La mia assistente ti ha anche dato il permesso di usare il mio computer?»

    La sua alzata di spalle richiamò l'attenzione sulle morbide curve. Ward si costrinse a riportare la concentrazione sui fatti di cui era a conoscenza: la donna che aveva davanti aveva mentito; aveva finto di essere un'altra persona; le sue azioni costituivano reato... Non ci si poteva fidare di lei, a prescindere da quanto fosse sexy con quel maglione dolcevita nero.

    «Ho solo scelto il posto più comodo dove aspettare.» Sollevò la cornice d'argento dalla scrivania, senza dubbio per distrarlo. «Chi è la bambina? È proprio carina.»

    «Mettila giù.» Il tono di voce era basso, di quelli che non ammettono obiezioni. Visto che lei non ubbidiva, le prese la fotografia dalle mani.

    Ward aveva perso tutto quando l'ex moglie l'aveva lasciato, portando con sé la figliastra. Dato che non era il padre biologico della piccola Paisley, dopo il divorzio da Melanie aveva perso il diritto di vedere la bambina. Aveva sperato che la ex glielo consentisse comunque, invece non era stato così: Melanie voleva solo lasciarsi il passato alle spalle e costruirsi una vita diversa con il nuovo marito.

    A tutti gli effetti, Ward era stato il padre di Paisley da quando aveva cominciato a uscire con la madre. Allora lei aveva solo otto mesi. Si erano sposati un anno dopo. Il matrimonio era durato sei anni... più a lungo di quanto sarebbe durato se non ci fosse stata di mezzo una bambina.

    Per il bene di Paisley, probabilmente Ward non si sarebbe arreso. Melanie, però, l'aveva tradito, aveva chiesto il divorzio e si era risposata con un tizio che aveva venticinque anni più di lei, ricco sfondato, in pensione e pronto a ricoprirla di denaro e di attenzioni.

    Il metallo della cornice gli si conficcò nel palmo.

    «Scusa, non pensavo di far niente di male» mormorò Brea, torcendosi le mani che aveva ora dinnanzi a sé. «Era lì in bella mostra.»

    «Solo per chi è seduto alla scrivania, al mio posto.» Appoggiò la fotografia sul piano a faccia in giù, per non farsi distrarre dall'immagine della figliastra. Quando sollevò di nuovo gli occhi su Brea, nella sua espressione colse un inaspettato accenno di vulnerabilità.

    Costruito o sincero? In base alla sua esperienza con le donne, molto probabilmente si trattava del primo.

    La vide deglutire lentamente. «Volevo tornare nell'ufficio di mio padre, vedere se era come me lo ricordavo da piccola, quando mi sedevo sulla poltrona del CEO per farla girare.»

    Ward ricacciò indietro le immagini della figlia che faceva la stessa cosa. Era sorpreso che Brea avesse mirato al cuore. «Ben giocata.»

    «Cosa vuoi dire?»

    «Metti in mostra i tuoi ricordi da bambina per cercare di attirarti la simpatia e la comprensione... o distrarmi da dov'eri seduta.»

    Non intendeva lasciarle passare liscia l'invasione del suo spazio. Qualcuno avrebbe pagato per il fatto che lei fosse arrivata fin lì. Per il momento, però, non poteva permettersi di lasciarla andare finché non avesse ottenuto delle risposte.

    «E va bene: mi sono seduta sulla poltrona di mio padre perché un tempo pensavo che un giorno sarebbe stata mia, che avrei mandato avanti la compagnia.» Si mordicchiò il labbro inferiore. «Per un momento volevo fingere che la vita si fosse svolta come avevo sperato.»

    Stava raccontando un'altra storia per suscitare la sua compassione e per distrarlo? Non ne era sicuro.

    A prescindere da quella domanda, gli occhi di Ward furono attratti dalla sua bocca. Tanto che fu costretto a stroncare sul nascere la spinta dell'attrazione. «Eri comunque al mio posto, davanti al mio computer.»

    Qualsiasi traccia di vulnerabilità le sparì dal volto. «D'accordo» accettò incrociando le braccia sul petto in segno di sfida. «Hai ragione. Non avevo alcun diritto di farlo. Che cosa intendi fare a riguardo?»

    «Potrei chiamare la sicurezza.» Le sue labbra si serrarono in una linea sottile. Incrociò i suoi occhi con uno sguardo inesorabile, il tipo di sguardo che aveva perfezionato durante le lunghe partite di poker dopo il divorzio. Il tavolo da poker era dove aveva riguadagnato il potere e il controllo, dove aveva affinato le sue capacità di leader.

    «Potresti. E quando scopriranno che non ho niente da nascondere ed è solo la tua parola contro la mia?» La sua voce era ricca e seducente.

    «Se scopriranno che non hai niente da nascondere.» La scrutò con attenzione per vedere se avesse colpito nel segno.

    Era la sua immaginazione o i suoi occhi si erano spalancati per la paura? Fu solo per una frazione di secondo, perché l'effetto sparì con la stessa velocità con cui si era manifestato.

    «E mio padre? Cosa penserà?»

    Jack Steele avrebbe fatto qualunque cosa per tenerla dove si trovava – in città, nella compagnia, in famiglia – e lo sapevano entrambi. Eppure, Ward bluffò. Era un mago nel bluff: la sua carriera in corsia di

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