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La vita che ho sognato
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E-book396 pagine5 ore

La vita che ho sognato

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Info su questo ebook

Alina e Nick sono talmente innamorati da voler affrettare le nozze e vivere il prima possibile quello che si presenta già come un idillio. Ma, proprio sul più bello, Nick svelerà un segreto che rischierà di mandare tutto a monte. E la povera Alina, sconvolta, dovrà rivolgersi a Fania e Armida, sua madre e sua nonna, che sembrano saperla lunga su queste faccende di cuore.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2024
ISBN9788727110653
La vita che ho sognato

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    Anteprima del libro

    La vita che ho sognato - Mariangela Camocardi

    Mariangela Camocardi

    La vita che ho sognato

    SAGA Egmont

    La vita che ho sognato

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2018, 2024 Mariangela Camocardi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727110653 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    La vita che ho sognato

    Prologo

    Capitolo 1 

    Capitolo 2 

    Capitolo 3 

    Capitolo 4 

    Capitolo 5 

    Capitolo 6 

    Capitolo 7 

    Capitolo 8 

    Capitolo 9 

    Capitolo 10 

    Capitolo 11 

    Capitolo 12 

    Capitolo 13 

    Capitolo 14 

    Capitolo 15 

    Capitolo 16 

    Capitolo 17 

    Epilogo

    L’autrice

    Prologo

    Ieri

    La camera da letto era in penombra e vi aleggiava, tenace e pungente, l’odore di mobilio nuovo, mischiato all’intenso profumo di lavanda delle lenzuola ricamate. Quelle del corredo, naturalmente, tirate fuori dal baule in occasione delle nozze imminenti.

    Dimostriamo al prossimo che i Raimondi non sono pezzenti. Magari non avremo dei milioni ma siamo gente che conosce il significato del termine decoro, e se non altro in questa casa abbonda l’onestà! aveva detto sua madre Armida il giorno in cui aveva ricevuto il vicinato per un modesto rinfresco prematrimoniale, accogliendoli per l’occasione nel quasi intonso salotto dove entravano solo pochi privilegiati. Quei pochi erano così in soggezione da restare appollaiati sul bordo del sofà a fiorami, visibilmente dubbiosi di essere all’altezza di tanta perfezione. Offrire pasticcini, prosecco e caffè era in realtà una rivalsa di Armida, il pretesto per ostentare la fine biancheria ricamata che lei stessa, a prezzo di duri sacrifici, era riuscita a dare in dote alla figlia.

    E Fania, da vera ingrata, avrebbe invece dato fuoco a tutto quanto, se solo avesse potuto, incluso chi ci stava dentro!

    In quel momento, distraendola dai pensieri, fuori qualcuno accese una radio e le note di Sapore di sale, benché smorzate dalla distanza, fluttuarono nell’aria. Il tuffo al cuore fu immediato e, prima che riuscisse a impedirlo, dalla memoria le sgusciò fulminea l’immagine di due ragazzi che durante un’estate neppure troppo lontana si abbracciavano su una spiaggia isolata e riarsa dalla calura.

    Fania si abbandonò ai ricordi con un senso di rimpianto che faceva male come una ferita fisica.

    Lo sciabordio monotono delle onde sulla riva sassosa faceva da sottofondo alle carezze e ai baci che accendevano di passione i loro corpi giovani e abbronzati. Fania adorava essere baciata da lui. L’odore della sua pelle forte asciugata dal sole era un afrodisiaco che la stordiva, e quella bocca che la sfiorava ovunque tirava allo scoperto voglia proibita di spingersi oltre, di arrendersi a sensazioni mai provate prima. Era peccato? No, ne era certa. Non poteva esserlo qualcosa di così bello da affrettare i respiri e far battere all’unisono i loro cuori per un’emozione sconvolgente. Bastava cedere al desiderio per avere la prova che appartenersi fisicamente era giusto e legittimo. Lui non diceva niente tra un bacio e l’altro, sollecitando il suo consenso con il tocco esplicito delle mani. Mani capaci di zittire la ragione facendole scordare che era una brava ragazza, e che avrebbe dovuto respingerlo…

    Perché si era sempre fermata a un passo dalla felicità? Fania tornò bruscamente al presente. Per quale assurdo codice d’onore aveva sempre anteposto i doveri di figlia obbediente alla gioia di essere amata da qualcuno che amava con identico slancio? Perché annullarsi per gli altri le veniva ormai così naturale da non soffermarsi a considerare quanto le sarebbe costata la rinuncia. Avrebbe voluto e dovuto essere egoista, pensò, fissando la sottile lama di luce che penetrava dalle persiane socchiuse, disegnando una linea diritta sul pavimento.

    Il silenzio della camera era rotto dal sommesso ronfare dell’uomo che, allungato sul lato sinistro del letto, dormiva profondamente. Appesa alla parete dall’intonaco azzurro spiccava la scadente copia di una Madonna di Raffaello. Quel ritratto della Vergine non le suscitava palpiti di misticità ma solo un vago fastidio. Con gli occhi gonfi per le lacrime versate quella notte, lo fissò a labbra strette, risentita per una grazia invocata con perseveranza, e non concessa. Lei per indole era restia a esigere qualcosa per se stessa, ma per una volta aveva sperato di essere esaudita.

    Con un sospiro si allontanò dalla finestra e sedette alla toeletta. Il viso riflesso nello specchio le parve quello di un’estranea. L’espressione tetra, più che da mogliettina in luna di miele sembrava appartenere a qualcuno che stava per recarsi a un funerale.

    Dio, e non era così, forse? Non erano forse stati uccisi tutti i suoi sogni, quella notte?

    Tenendo a bada l’angoscia, si costrinse a non piangere di nuovo, mentre lo sguardo indugiava su Leo. Anche se l’abbandono del sonno ne ammorbidiva le spigolosità, il fascino virile di lui avrebbe solleticato i sensi di qualsiasi donna. La schiena muscolosa si assottigliava nei fianchi e le gambe, adeguate al resto della corporatura, rivelavano l’attitudine allo sport. Ci teneva molto alla forma fisica, quel suo marito dal sorriso disarmate che le amiche le invidiavano apertamente. Leo, del resto, dedicava più tempo alle attività di palestra e alle priorità personali, piuttosto che agli slanci affettivi. Le attenzioni di cui era capace le riservava essenzialmente a se stesso.

    Fania riportò gli occhi davanti a sé e nella mente le balenarono frammenti slegati della cerimonia di nozze, avvenuta il giorno prima.

    Il casto abito bianco era di seta, con intarsi di pizzo ricavati dalla veste di nozze della bisnonna. La sarta che cuciva per loro era abile e aveva optato per un modello che esaltava la snellezza della sposa. Sui capelli, un semplice velo di vaporoso tulle trattenuto da una coroncina di fiori. Quando lo aveva indossato, persino la sua ipercritica madre le aveva elargito un sobrio cenno del capo.

    Donna dal carattere e dalla severità d’altri tempi, raramente Armida lasciava trapelare i suoi stati d’animo. Certe cose non si mettono in piazza, ripeteva. Le smancerie tradivano la frivolezza morale e la scarsa serietà. Tuttavia, vedere la figlia con l’abito da sposa aveva scalfito la sua impassibilità esteriore. Armida offriva agli altri un’immagine standard di compostezza, come lo sfondo del teatro parrocchiale del loro quartiere, immutabile quale che fosse la rappresentazione. Il fugace barlume di umanità sfuggito all’autocontrollo di sua madre era svanito in fretta: la cerimonia incombeva e qualunque sfoggio di emotività era poco opportuno.

    Nella piccola chiesa addobbata di rose bianche, il brusio degli invitati, quando era entrata al braccio del padre, aveva turbato profondamente Fania: ma era davvero lei quella donna smarrita che stava per diventare una moglie? La sua voce, nel pronunciare i voti nuziali, era così tremante da attirare l’occhiata perplessa di don Giuseppe. Quella di Leo era invece riecheggiata chiara e pacata. Lui, d’altronde, era immancabilmente padrone di sé, inducendola a pensare, pur conoscendolo poco e male, che non gli costasse alcuna fatica padroneggiare la propria emotività. Appariva disinvolto nelle situazioni più disparate, infatti, misurato e affascinante come nessuno. Quando erano andati dai parenti con gli inviti e le bomboniere, le sue giovani cugine se lo erano mangiate con gli occhi quel bel fidanzato dal volto marcato e dagli ondulati capelli bruni. Avrebbero voluto essere al suo posto, Fania ne era consapevole.

    Allo sposalizio era seguito un pranzo in un locale fuori città, nel corso del quale la maggioranza delle donne presenti aveva civettato con Leo, affatto scoraggiate dal fare condiscendente del novello sposo. Si erano poi disputate il bouquet che Fania si era lanciata alle spalle, prima di congedarsi da familiari e ospiti. Dentro di lei, mascherata da un sorriso forzato, cresceva l’ansia alla prospettiva dell’intimità che avrebbe dovuto presto condividere con un marito con cui mancava qualunque forma di confidenza. La spaventava iniziare una vita coniugale con un uomo che, dopotutto, era un cortese estraneo. Che stupida era stata ad angustiarsi a quel modo.

    Fania chinò il capo e ricominciò a piangere sommessamente.

    Chi aveva detto che l’inferno era il castigo destinato dopo la morte a chi era stato malvagio nel corso dell’esistenza?

    E lei che male aveva fatto per meritare tutto questo?

    Capitolo 1 

    Oggi

    Alina non aveva immaginato che scegliere la fede nuziale insieme al suo Nick potesse scatenare in lei un turbamento persino più intenso di quello provato il giorno in cui lui si era presentato con l’anello di fidanzamento acquistato da Tiffany. Le era venuto il batticuore prendendo l’elegante scatola azzurra chiusa da un nastro argentato. Ovviamente si era sciolta in lacrime quando le aveva infilato all’anulare il brillante. Un regalo che doveva aver pesantemente intaccato i suoi risparmi e lei, emozionatissima, non lo aveva neppure ringraziato, ammaliata dalle scintille di luce che la gemma sprigionava.

    Le fedi le avevano volute di oro giallo, semplici e tradizionali, simbolo di un sogno d’amore che stava per essere coronato.

    – Ali, amore, vorrei essere certo che non rimpiangerai la cerimonia di nozze tutta infiocchettata che le spose adorano organizzare ai danni dei futuri mariti. Sono consapevole che le scelte imposte dagli altri non sempre funzionano, e mi spiacerebbe che avessi dei rimpianti per il fatto di sposarci senza una scenografia da favola. Non me lo perdonerei mai.

    La voce profonda e calda di Nick richiamò Alina al presente. Gli sorrise mentre aspettavano le pizze appena ordinate. Il fine settimana sul lago Maggiore, in quel luglio afoso e contraddistinto da temporali quasi quotidiani, pareva stesse assestandosi finalmente al bello, attirando nugoli di turisti. Come precessioni di formiche in movimento, percorrevano vie e piazze assolate fotografando con i cellulari qualsiasi cosa meritasse di essere immortalata dall’obiettivo. Quanto a loro due, usciti dalla gioielleria con le fedi al sicuro nel borsone a tracolla di lei, avevano cercato un locale tranquillo dove poter cenare. La pizzeria Bella Napoli, con l’ampia terrazza all’aperto affacciata sul lago, era parsa l’ideale, soprattutto per non essere troppo affollata. Nell’aria immota della sera imminente aleggiava il profumo di origano e ragù misto alla fragranza del gelsomino in fiore che avviluppava i tralicci del pergolato, creando una penombra invitante sulle tavole apparecchiate sotto il fitto fogliame. Si erano accomodati all’esterno, incuranti dei moscerini che volteggiavano instancabili sulle teste degli avventori, in particolare su quelli già intenti a divorare capricciose e margherite appena sfornate.

    – Più che certa – lo rassicurò lei, sorseggiando il vino bianco, ghiacciato al punto giusto, che lui le aveva versato nel bicchiere. – Ma, considerata la tua insistenza in proposito, sorge il sospetto che tu sia rammaricato che io abbia accettato senza discutere la semplice cerimonia proposta da te.

    – Assolutamente no – negò lui con un sorriso eloquente. – Già avuti marcia nuziale e l’apparato coreografico che le spose prediligono. Stavolta voglio qualcosa di più intimo per noi due.

    - E se cambiassi idea?

    - Se contribuisse a renderti più felice, non farei ostruzionismo, naturalmente, ricorrendo alle mie inesauribili scorte di stoicismo.

    – Che fidanzato comprensivo!

    – Sì, vero? – Le strizzò l’occhio. – Apprezzo il lavoro di squadra, Ali, e sai che il tuo fidanzato è afflitto da allergia cronica verso le cerimonie di quel tipo.

    - Per amore si sopporta questo e altro.

    - Certo, ma significherebbe infierire nei riguardi di un povero disgraziato che in precedenza ha già dato su quel versante. Io detesto quel genere di ostentazioni.

    – Sono refrattaria quanto te ai matrimoni stile hollywoodiano.

    – Ne sono sollevato. Tra le tante cose che abbiamo in comune, la sobrietà è decisamente ciò che più apprezzo in te. Chiaramente, un uomo non ignora affatto quello che lo attende al varco quando si risolve a farsi mettere in catene.

    Lei rise. – Le forche caudine sono una bazzecola in confronto, eh?

    – Già, e le donne sono mostruosamente instancabili nell’affrontare quell’abominevole tour de force che si scatena tra negozi e centri commerciali alla ricerca di un abito di nozze sensazionale, le bomboniere più originali, eccetera.

    – Detesto gli orrori barocchi che hai elencato, ma mia madre la pensa esattamente al contrario e sarà dura privarla di sposalizio e rinfresco. Temo che se lo legherà al dito il mio averla estromessa, pianificando le cose a modo mio e non suo, soffiandole da sotto il naso tutto il cerimoniale.

    – Ti sposi tu, non lei.

    Ali si attorcigliò sul dito una ciocca di capelli che il sole accendeva di riflessi. – Proprio per questo il mio vade retro è irrevocabile!

    – Il che mi rincuora come neppure supponi, amore.

    – Sì, vero? – lo canzonò, ripetendo le parole di lui.

    – Lo confesso e tuttavia, pur di rendere indimenticabile il giorno del nostro sì, avrei sopportato l’atroce trafila senza muovere obiezioni. Non sono capace di negarti nulla, ma non ti approfittare del debole che ho per te.

    – Mi fai sentire così speciale, Nick…

    – Tu sei speciale – la interruppe. - Ti amo come mai avrei creduto di poter amare qualcuno dopo la batosta subita in passato.

    Nick aveva un modo tutto suo per dirle ti amo. Parole proferite con il cuore, non così per dire, che rivelavano sentimenti veri e profondamente radicati in lui. E una passione repressa a fatica dalla volontà. Nick era un uomo estremamente sensuale e Ali si rendeva conto di quanto dovesse pesargli l’astinenza che gli aveva imposto.

    Si erano incontrati da poco più di un mese quando suo padre aveva avuto un gravissimo attacco di cuore che gli era quasi costato la vita. Leo era stato operato d’urgenza e Alina, insieme a Nick, subito accorso per starle accanto, e a sua madre, si era aggrappata alla fede durante quelle eterne, terribili ore di attesa, pregando che il suo adorato papà non morisse sotto i ferri. Quando il chirurgo li aveva informati che il paziente rischiava di non farcela, lei aveva fatto un solenne voto a Dio: si impegnava a non fare l’amore con Nick fino al giorno delle nozze, se papà recuperava la salute. Contro ogni peggiore previsione, Leo aveva superato miracolosamente la fase più critica, grazie ai by­pass che gli erano stati applicati, ristabilendosi del tutto.

    Nick, suo malgrado aveva acconsentito a rispettare il voto di lei; non potendo fare altrimenti, per amor suo si era adeguato. Ma l’astinenza, innamorati com’erano, era un sacrificio per entrambi per cui avevano deciso di sposarsi senza prolungare oltre il fidanzamento.

    – Anche tu sei speciale, Nick – Ali fremette, accarezzata da una di quelle sue occhiate cariche di erotismo che la rendevano acutamente conscia dell’effetto che lui le provocava. Mai prima e con nessuno aveva provato un desiderio così incalzante di abbandonarsi al più sfrenato degli amplessi. Nick non era forse un Adone ma aveva quell’aspetto da macho che riesce a calamitare gli sguardi delle donne che orbitano nei suoi dintorni. Lei ne era gelosissima e a volte si chiedeva se non stesse abusando della sua disponibilità tenendolo sulla corda con un voto di castità alquanto anacronistico in un’epoca di sfrenatezza sessuale. Non le aveva mai rinfacciato l’astinenza, da perfetto gentleman. Era una rinuncia che pesava anche a lei, d’altra parte. Nick era quel tipo di maschio che metteva a dura prova il self-control di Alina. Idem per Nick: constatare quale attrazione esercitasse su di lui era una efficace cartina al tornasole che sperimentava più spesso di quanto fosse lecito, eccitandolo con sottile perfidia nelle parentesi di un’intimità circoscritta alle effusioni platoniche. Nick riusciva a tirare scema lei, quando la baciava come una donna vuole essere baciata dal suo lui.

    Baci e carezze che erano una dichiarazione di conquista che marcava il suo territorio, e lei non ne aveva mai abbastanza di quella bocca esigente e avida, né di quelle mani che diventavano strumenti di seduzione quando si posavano sul suo corpo. Nelle braccia di Nick fluttuava tra voluttà e sogno, tra paradiso e inferno, in un crescendo di pulsioni che per ora sfociavano in una frustrante rinuncia. Doveva riconoscere che Nick era stoico. Anziché protestare come avrebbe fatto chiunque, si era piegato per rispetto a una motivazione che comprendeva fino in fondo; se non era amore quello, cos’altro poteva esserlo? Alina era impaziente di sposarlo e le nozze sarebbero avvenute tra un mese. La felicità era tale da averne quasi paura.

    Nick era reduce da un matrimonio sbagliato dal quale non erano nati figli. Le aveva spiegato che l’ex moglie, Maura Bersani, era una modella e che solo dopo il sì si era degnata di informarlo che aborriva la sola prospettiva di un’eventuale gravidanza. Restare incinta avrebbe posto a repentaglio la sua taglia trentotto, e il suo ostinato rifiuto alla maternità aveva provocato il fallimento della loro unione. Al contrario di Maura, lui anelava diventare padre, il che lo aveva spinto a troncare in modo drastico il rapporto con una moglie che preferiva di gran lunga le passerelle e la vita mondana, alle gioie familiari. La rappresaglia di Maura era consistita nel rivendicare il domicilio coniugale nella spinosa causa di divorzio che era seguita, indifferente al fatto che l’ottocentesca casa nel centro storico di Mantova Nick l’avesse ereditata dai nonni materni.

    Le aveva offerto l’equivalente in denaro, ma per nulla al mondo Maura si sarebbe privata della vendetta: nessuno aveva osato trattarla come un vuoto a perdere, prima di Nick! Era lei a piantare gli amanti quando le venivano a noia, e l’essere scaricata da un marito che oltretutto trovava molto decorativo era uno smacco che bruciava parecchio. Sulle esose richieste di divorzio l’aveva spuntata lei, e a Nick era rimasto l’amaro in bocca, accompagnato da una granitica diffidenza verso i legami ufficiali.

    Ali era a sua volta reduce da qualche delusione sentimentale che l’avevano resa altrettanto cauta con gli uomini; apprezzava inoltre la propria indipendenza. La compagnia non le mancava se voleva trascorrere una serata spensierata in discoteca, al cinema o al ristorante. Le piaceva anche viaggiare e, compatibilmente con gli impegni professionali, appena aveva a disposizione dei giorni di vacanza saltava su un aereo e volava verso itinerari esotici, lontano dalla routine quotidiana. Perdere la testa per Nick era stato persino troppo facile. Aveva incredibilmente scoperto che si erano conosciuti quando lei era in fasce o giù di lì, dato che gli Airoldi avevano abitato nella villetta accanto a quella dei Mastricardi per un breve periodo. Una siepe divideva i giardini delle due case e Nick, che allora aveva circa quattro anni, spesso si era intrufolato nella proprietà dei vicini per osservare la loro bimba, affascinato dal goffo gattonare di Alina sull’erba del prato. Le aveva anche raccontato che lei appena lo scorgeva poco lontano, gli riservava teneri sorrisi sdentati e strillava felice, tendendo le braccia al piccolo amico a cui si era subito affezionata, quasi per sollecitarlo a unirsi a lei nel gioco.

    Avevi già un debole per il sottoscritto, è evidente si era vantato. Ma per me conquistare le donne non ha mai rappresentato un problema.

    Presuntuoso! gli aveva risposto piccata. È altrettanto evidente che tu stravedevi per me, sennò che ci venivi a fare nel nostro giardino?

    Stravedevo per te, dici? E da che cosa lo arguisci?

    Dal fatto che invece di giocare con le macchinine o tirare calci a un pallone, preferivi venire a sbirciare una mocciosa ancora incontinente, con pochi capelli sulla testa e le gengive senza denti. Ho le foto dei miei primi mesi di vita e non ero esattamente un concentrato di bellezza!

    Eri irresistibile anche a quel tempo, te lo assicuro, e lo dimostra il fatto che non ti ho mai dimenticata, Ali. Mai!

    Le aveva scoccato quel suo sorriso un po’ sghembo che le provocava una strana, destabilizzante sensazione di vuoto allo stomaco, rendendola certa di aver incontrato l’altra metà di se stessa, visto come le mandava in aritmia il cuore. Nick ogni tanto rievocava quel passato in comune e Alina percepiva una nota nostalgica per quei ricordi impressi nella sua memoria. Era rimasto piuttosto male quando la famiglia si era d’improvviso trasferita altrove. Nella misura in cui si può farlo a quell’età, si era sentito defraudato di qualcosa, provando un dispiacere troppo grande per un bimbo sradicato in maniera repentina e inspiegabile da un luogo cui era affezionato. Ne aveva sofferto il distacco più di quanto avessero supposto i genitori. Disorientato e privo di amici con i quali distrarsi – nelle vicinanze non ce n’erano – si era trascinato abulico da una stanza all’altra della nuova abitazione dove tutto gli era estraneo, senza cessare di frignare e fare capricci. Il padre, esacerbato da pianti apparentemente senza fine, si era spazientito, rimproverandolo così aspramente da indurre Nick a trincerarsi in un risentito e prolungato mutismo. Era stata come al solito la sua insostituibile mamma ad ammorbidirlo nei confronti del papà, risolvendo la diatriba con l’offerta di una superba torta al cioccolato e un’overdose di coccole. Le consolatorie attenzioni di Saveria, nelle settimane successive, avevano ripristinato la serenità, addolcendo il precoce rimpianto di un cucciolo d’uomo infatuato di una mocciosetta tutta smorfie e sorrisi.

    Nella mente di Nick il ricordo di Ali si era stemperato in una sequenza di sbiaditi flash back, con il passare degli anni. Reminiscenze che riaffioravano quando meno se lo aspettava e che, come gli spezzoni di un film particolarmente apprezzato, non erano mai svanite totalmente dal suo album esistenziale. L’amica d’infanzia era entrata dentro di lui, e ci era rimasta.

    Invece a casa mia il consolatore per eccellenza è mio padre aveva detto Alina. Leo Mastricardi non tornava mai dai frequenti viaggi di lavoro senza portarle una Barbie superaccessoriata, con cui lei organizzava luculliane merende nei pomeriggi di gioco. Se era afflitta per un qualunque cruccio, Leo improvvisava meravigliose sorprese, escogitando sempre dei nuovi spunti per rallegrare la sua piccola principessa. Disponeva di una pazienza illimitata con la figlia, e quando era stata punta da una vespa e aveva pianto tanto per il dolore, lui, annullati gli appuntamenti con importanti clienti dell’agenzia immobiliare, si era prodigato per restituirle il sorriso. Erano saliti sul treno per Milano con destinazione zoo, trascorrendo la giornata tra i recinti degli animali e divertendosi un mondo. Anche il luna-park era una delle loro mete preferite: Leo saliva perfino sulle giostre con Alina, nel timore che potesse cadere e farsi male. Le gite in battello erano riservate al sabato mattina, anche se pioveva, diretti alle Isole Borromee o alla Rocca di Angera. Era insuperabile a organizzare svaghi adatti alla sua età, alternati a escursioni nei musei in cui erano esposti i dipinti dei più significativi maestri del pennello. Alina aveva una predisposizione innata per l’arte figurativa. Fania non sempre approvava, ma loro la lasciavano semplicemente dire senza darle retta.

    Dall’adolescenza in poi Leo si era tirato in disparte: deplorava i genitori vecchio stampo o troppo severi, e aborriva limitare la libertà di Alina Si fidava di lei, pronto a supportarla all’occorrenza, ma mai oppressivo, proteggendola discretamente. Quando Ali aveva iniziato a fare le prime esperienze di giovane donna, subendo come tutti le inevitabili delusioni, le aveva elargito ottimi consigli. Con sua madre, invece, non c’era mai stato feeling. Fania era rigida e poco espansiva, con un inflessibile concetto delle regole a cui, secondo il proprio ruolo, ci si doveva attenere. Ali, pur sforzandosi, non era riuscita a instaurare con la madre il tipo di complicità che invece condivideva con Leo. Quando aveva cinque o sei anni, una notte si era svegliata di soprassalto udendo le voci alterate dei genitori. Si era alzata per andare a origliare dietro la porta del soggiorno: stavano litigando di brutto, ma non era riuscita a comprendere quale fosse la ragione dello scontro. Infine era tornato il silenzio, e prima uno poi l’altra, si erano chiusi nelle rispettive camere, senza scorgere Ali acquattata nell’oscurità del corridoio. Lei aveva riguadagnato in punta di piedi la quiete della sua stanza e si era riaddormentata soltanto all’alba. L’indomani papà era partito e la mamma aveva l’espressione fredda e scostante dei momenti peggiori.

    Papà è andato via per colpa tua! l’aveva accusata Alina.

    Cosa?! Fania si era voltata di scatto, stupita.

    Sei cattiva e non ci vuoi bene! Indispettita per l’assenza di Leo, Alina aveva allontanato il piatto della minestra con tanta forza da rovesciarla.

    Sua madre l’aveva schiaffeggiata.

    Allorché ripensava a quel giorno, risentiva ancora il bruciore di quel ceffone in pieno viso: una ferita mai rimarginata, sebbene Fania, pentita da quella sua reazione eccessiva, l’avesse abbracciata subito, pregandola di perdonarla e ripetendole che era la sua bimba adorata, che l’amava con tutto il cuore. Però non aveva detto di amare il marito.

    Ali stornò la mente da quei ricordi inopportuni per focalizzarla su Nick e il giorno in cui le loro strade si erano casualmente incrociate, l’antivigilia del Natale precedente. Mentre sceglieva gli ultimi regali, a un tratto si era accorta di essere fissata da un tizio che stazionava a qualche metro di distanza, altrettanto carico di pacchetti infiocchettati. Lui, lo sconosciuto, aveva il fascinoso aspetto dell’uomo che non deve chiedere mai e che è dannatamente consapevole di acchiappare facilmente. Alto quanto basta da sovrastare di parecchi centimetri i comuni mortali, larghe spalle da pugile e lisci capelli bruni portati lunghi sulla dolce vita di cachemire, la guardava con un paio di penetranti occhi neri tra ciglia che sembravano allungate artificialmente con il rimmel. Si era chiesta con disappunto perché se ne stesse lì impalato, la bocca carnosa incurvata in un sorriso che accentuava la maschia prestanza di quel volto reso più interessante da un’ombra di barba scura… più che far apparire trascurato il suo aspetto, gli donava un sacco. Che figo!

    Occhi assassini e bocca da baci lunghi, profondi e sensuali…

    Ehi, ma che diavolo di pensieri erano quelli, si era chiesta interdetta? Chi era quel fantastico macho fuoriserie, colpito da lei al punto da fissarla così sfacciatamente? Forse la confondeva semplicemente con qualcuna che magari le somigliava? Quel secondo, legittimo interrogativo le era balenato in testa quando, spiazzata da quei dubbi e dalla sua fervida immaginazione, lui le si era avvicinato.

    Sei Alina Mastricardi, vero? le aveva domandato, rompendo il ghiaccio.

    Cielo, ma allora quel ben di Dio in carne, ossa e virilità puntava sul serio lei? Strano, non aveva avanzato nessuna richiesta del genere nella sua lettera a Babbo Natale!

    Sì, e non credo di conoscerti si era finalmente risolta a rispondere con perplessità e un filo di imbarazzo per il fatto di ignorare chi fosse.

    "Sono Nick Airoldi e non puoi rammentarti di me.

    Non ho la memoria così labile.

    È solo che eri troppo piccola quando ti gironzolavo intorno.

    Il sorriso da pubblicità da dentifricio che aveva sciorinato per accompagnare quelle parole aveva avuto uno strano effetto su Alina: non avrebbe mai supposto che le sue sinapsi potessero eseguire capriole di quel genere! Davvero? È un peccato che io non mi rammenti di te.

    Io sì: i tuoi occhi sono un inconfondibile marchio di fabbrica, e benché siano trascorsi anni, ti ho riconosciuta all’istante, mentre poco fa raggiungevo l’uscita della Rinascente!

    Era arrossita al complimento. Ti ringrazio, ma francamente non so che dire aveva mormorato impacciata. Sono costernata di aver dimenticato le circostanze cui alludi.

    Be’, neanche Pico della Mirandola rammenterebbe un vicino di casa, se la conoscenza risalisse all’epoca in cui uno di noi due era in fasce, o quasi. Il sorriso di lui si era allargato facendole battere disordinatamente il cuore. Il disagio aveva poi rasentato il culmine nel rendersi conto che lo stava squadrando come se fosse stato il Messia, ossia in modo spudorato.

    Veramente?

    Sì. Fui invaso da un tale rammarico il giorno in cui i miei traslocarono, da frignare per mesi. Mi piaceva abitare nella villetta accanto alla tua.

    Una frase che aveva dissipato ogni residua remora, e un’imprevista sensazione di familiarità era subentrata in lei. Nick aveva una parlantina accattivante alla quale era fin troppo facile assuefarsi, slittando con spontaneità nella confidenza – non per niente faceva l’avvocato – e non era stata capace di rifiutare quando l’aveva invitata a bere qualcosa. Si erano infilati in un bar e con un paio di cappucci schiumosi e bollenti davanti, incuranti dell’andirivieni degli avventori e del nevischio che fuori si infittiva, avevano conversato per ore come vecchi amici. Lo erano, in definitiva.

    Nick era un idealista che si schierava con i derelitti, incurante dell’onorario. Molti di coloro che si rivolgevano allo studio legale Airoldi non dovevano neppure fare un’eccessiva leva sul radicato senso della giustizia di lui per farsi patrocinare. Alina lo aveva appurato frequentando assiduamente quel paladino sotto mentite spoglie. In un universo praticamente contraddistinto da ipocrisia e da opportunismo, Nick era una persona dalla disponibilità inesauribile e dotato di un notevole spessore umano. Pochi individui possedevano la sua sensibilità, riuscendo a pensare emotivamente: invece lui sì! Inutile sottolineare che aveva fatto scempio del suo cuore quando lei era ancora piccina, e dei suoi sensi da adulta. Nelle parentesi di abbandono, se non era intenta a baciarlo e a toccarlo, attività da cui le era assolutamente difficile distogliersi, gli ripeteva:

    Continuando a difendere chi non può pagare la parcella, non farai mai i soldi come tutti gli avvocati in circolazione! Non vuoi diventare un famoso principe del foro?

    Nick scrollava il capo e replicava che chiunque ha il diritto di essere difeso al meglio, soprattutto chi non poteva permettersi un legale decente.

    Alina la pensava esattamente come lui, in merito.

    – Amore, torna da me – la riscosse Nick, vedendola così immersa in chissà quali

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